Città come Los Angeles, Miami,
Rio de Janeiro. Scordatevele. Questa è Il Cairo. La capitale dell’Egitto non è
una città facile, è un melting pot di etnie, religioni, credenze e miti
antichi.
La città più popolosa dell’Egitto,
con i suoi quasi 20 milioni di abitanti, offre le sue meraviglie a poco prezzo,
tutto purché rigorosamente contrattato.
Secondo il calendario islamico
siamo intorno al 1400: ad un primo sguardo sembra quasi di tuffarsi nel
passato, se non fosse che si rimane letteralmente assaliti dal traffico, dal
rumore assordante e dallo smog. Prendere o lasciare.
I turisti non ci sono quasi più,
e se ci sono si trovano solamente nei siti folcloristici della città, mai per
le strade, dove si incontrano quasi esclusivamente uomini con la barba lunga islamica
e poche donne, e di queste molte col niqab, che lascia scoperti solo gli occhi.
Tutto questo perché Il Cairo, città piena di storia e meraviglia, alla luce
degli scontri a piazza Tahrir, oggi non è più una città sicura. Siamo
visitatori curiosi di scoprire, ma qui la curiosità non paga, perché a volte
turista è sinonimo di ospite, e come tali ci si deve adattare alle loro regole,
quindi si cammina sotto il sole cocente, coperti da capo e piedi, evitando di
incrociare gli sguardi o di fare foto; nessuna aperta ostilità, ma un’evidente
diffidenza nei confronti degli occidentali.
Ci sono solo tre momenti in cui
Il Cairo sembra una città “normale”: durante la notte, dall’alto delle piramidi
o navigando il sacro Nilo.
Fra poco si riparte. Mi mancherà
la città delle non regole e delle contraddizioni, delle folle corse sulle
strade tra un asinello e una Porsche, dei jeans e maglietta a maniche lunghe
nonostante i 45 gradi nel deserto, degli egiziani che vivono di notte e dormono
di giorno per via del Ramadan, degli scontri a piazza Tahrir per la voglia di
libertà, del corteggiamento perenne con quegli occhi da orientale, delle
meraviglie del mondo, la città del "era meglio quando si stava
peggio".
Dopo un viaggio simile, si hanno
molte più domande al ritorno rispetto a quando si è partiti. Chi arriva per la
prima volta in un posto distante per cultura e mentalità, tenta istintivamente
di portare un po’ di sé per cercare di cambiare qualcosa. Forse, però, non
sempre è giusto che le cose cambino. Le radici profonde non gelano mai e
lottare per la propria identità è un diritto dei popoli, anche se la loro
cultura risulta inconcepibile agli occhi di chi si crede detentore assoluto di
verità e democrazia, pretendendo di importarla dove gli fa comodo.
Claudia Nardi
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