La Thailandia e la Cambogia già da un paio di anni sono oggetto di scontri e violenze.
Questa volta lo scontro è avvennuto a causa di un antico tempio dedicato al dio Shiva situato sulle montagne Dangrek, al confine tra Thailandia e Cambogia. Per i thai è il Phra Viharn, per i khmer il Preah Vihear.
Gli ultimi scontri, descritti dai cambogiani come "un'invasione", sono i più violenti degli ultimi anni: tra venerdì e sabato, prima che fosse dichiarato un fragilissimo coprifuoco, sono stati uccisi un soldato thai, uno cambogiano e un civile thai di un villaggio sul confine colpito da una granata. Sono stati feriti quattordici soldati thai e tre civili.
Ancora una volta quel tempio diviene una tessera chiave nell'eterno domino che si gioca in sud-est asiatico. A lungo compreso in territorio thailandese, nel 1962 la Corte internazionale di giustizia lo assegnò alla Cambogia in base ai confini tracciati dai francesi nel 1904. Nel 1975 fu occupato dai khmer rossi e nel 1979 divenne uno dei santuari degli uomini di Pol Pot, rifugiatosi ad Anlong Veng, 65 chilometri a est. Quell'anno fu teatro di uno dei più sanguinosi episodi della guerra civile. Circa quarantacinquemila cambogiani fuggiti in Thailandia furono costretti a rimpatriare scendendo sul fianco della montagna. Dove furono decimati dalle mine.
Il tempio che è stato riaperto nel 1998, per qualche tempo divenne un'attrazione storico-turistica condivisa, tanto che i governi thai e cambogiano presentarono un'istanza comune affinché fosse dichiarato patrimonio culturale dell'umanità. Quando accadde, però, nel luglio del 2008, il tempio riapparve come un simbolo ancor più forte dell'orgoglio nazionale di entrambi i paesi e pretesto per nuove rivendicazioni territoriali. Fu anche uno dei motivi centrali della feroce contrapposizione interna thailandese: secondo l'opposizione (rappresentata dall'attuale governo), il primo ministro Samak (fedelissimo del premier in esilio Thaksin Shinawatra) sacrificava la khwampenthai, il senso della thailandesità, a oscuri interessi. I cambogiani, invece, si sentivano sicuri della loro maggioranza politica, del supporto militare vietnamita e della cooperazione francese nella futura gestione del sito. Ma poi, anche per loro, il tempio divenne un elemento fondamentale di politica interna: serviva a spostare il crescente malcontento popolare verso i vietnamiti (sempre più visti come una presenza imperialista) nei confronti degli storici nemici thai. Senza contare che una prova di forza nei confronti della Thailandia, il vicino più ricco, rappresentava la dimostrazione del rinnovato potere khmer.
A riaccendere gli animi, infine, ci hanno pensato le "camicie gialle" thai della People's Alliance for Democracy (PAD), in particolare i membri del Thai Patriots Network (TPN), e della setta buddhista Santi Asoke, che nelle ultime settimane sono scesi in campo per sollecitare il premier Abhisit a una maggior determinazione nella contesa del tempio. La scintilla che ha fatto detonare la crisi è stato l'arresto di sette ultranazionalisti thai in territorio cambogiano.
Per quanto il governo abbia cercato di mediare, la situazione è precipitata. Oggi, come ha scritto il ministro degli esteri cambogiano alle Nazioni Unite, è divenuta "esplosiva".
Fabio Chiarini
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